Gran Loggia 2008 – Allocuzione conclusiva del Gran Maestro Gustavo Raffi

Cari Fratelli,

I romani usavano come materiale per costruire le unità di misura il legno del fico: un albero umile. Un albero che non ha le pretese della quercia o del faggio o del castagno: gli alberi che primeggiano nel bosco. Ma i romani sapevano che è indeformabile. Come il fico, l’umiltà è il segno delle persone schive, modeste, che non vogliano primeggiare: come la quercia, il faggio o l’olmo. Ma sono indeformabili. Niente li piega: non sono uomini per tutte le stagioni. Non sono uomini che si lasciano attirare dalle vanità: come fa il cane da caccia che segue chi porta il fucile, chiunque esso sia. L’umile non è scemo: è riflessivo. L’umile non si sottovaluta. Sa chi è e cosa può fare: ma non ha bisogno di ostentarlo. La dote che accompagna l’umiltà è la virilità, non la debolezza o la pavidità. L’umile è un eroe perché non ha paura di perdere quello che non ha mai chiesto: è contento di essere quello che è. L’umile non desidera quanto non può avere perché ha quello che gli basta: la stima degli altri e la propria coscienza a posto. Perseguire l’umiltà coincide quindi con quel sapere di essere sulla giusta strada che ci rende disponibili ad accettare chiunque ci critichi. Che ci rende disponibili alla tolleranza e aperti al dubbio. Che ci rende disponibili alla fraternità: perché solo chi è umile è veramente aperto alla fratellanza. Come si vede, l’umiltà è la dote in cui si riflette il vero Libero Muratore. E’ la sua divisa. Se un Libero Muratore è umile non ha bisogno di patacche per sentirsi grande. E’ grande di dentro e grande di fuori.